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Percorso

Il gattò

17. 03. 04
posted by: Barbara Zattoni

 

 

Le parole sono importanti. Monzu, monsù, crocchè, ragù e gattò:  solo l'esempio di un  geniale "adattamento" di lingua e di parole che permette di riconoscere opere e loro seguenti trasformazioni, presentandosi con una traduzione popolare di facile comprensione ma che riesce ad essere educata e rispettosa della proprio matrice e volente o nolente, a portarsela appresso. Si sa che alla fine del '700, a Napoli la cucina è già europea e la regina Maria Carolina scivolando verso la Francia, comincia un confronto con cuochi di alto rango. Questi "monsieur" ai quali

viene affidato il servizio di cucina, diventano monzù / monsù (napoletano / siciliano) e preparano: croquettes, ragout e gateau (solo salato?), mentre nelle pasticceria napoletana si insinua, con il nome di gattò mariaggio, evidente corruzione di gateau du mariage, la dolce torta nuziale. Questo che vi racconto è il gattò di patate.

1kg.+1/2 di patate gialle lessate e schiacciate

100 gr burro morbido

100 gr di latte

100 gr  parmigiano grattato

50 gr. pecorino romano grattato

100 gr di provola affumicata o mozzarella

4 tuorli - 3 albumi montati

100 gr tra prosciutto e salame tagliati a dadini

sale - pepe - prezzemolo

1 teglia media imburrata e cosparsa di pane grattato

Le patate vanno lessate, sbucciate e schiacciate in una terrina capiente, e lavorate col burro, latte, i 2 formaggi e i tuorli. A questo punto si aggiungono i salumi a cubetti e dopo aver ben mescolato il tutto, anche le chiare montate.

 

 

Mettiamo metà impasto nella teglia, la provola a dadini e copriamo con il resto dell'impasto. Spolverate con pane grattato e distribuire qualche fiocco di burro. Infornare a 200° per 45 minuti. Nelle versioni più antiche dove non si faceva uso del forno, il tutto era realizzato in padella, unta e spolverata di pan grattato.

 

 

Si monta come nella teglia, dopo 20 minuti si gira, aiutandosi con un coperchio piatto, si rimette olio e pangrattato e si porta a cottura. Piatto geniale, consumato il 13 dicembre (santa Lucia) a Palermo, aggirando così il divieto di mangiare pane e pasta.