Za’atar (pianta “protetta” per furto di terra)
Quando è così evidente che la cucina è politica.
Quando è così evidente che l’esproprio degli elementi fondanti di un popolo, sia realmente un reato.
Quando questo reato insedia il gesto quotidiano della cultura di un popolo, la disgiunge dai propri riti umani e sovrumani.
Quando addirittura si pretende di raccoglierne i “frutti”, di un qualcosa di così
S- NATURATO.
Quando questo raccolto non ha più un tempo, quando ha perso la sua riconoscibilità.
Evidentemente e senza remore possiamo parlare di DELITTO.
Tutto ciò avviene dal 1977, da quando Israele emanò una legge che vietava ai Palestinesi, la raccolta dello zaatar perché “pianta protetta”. Solo un anno dopo la “Giornata della terra”, una data importante per i Palestinesi, il 30 marzo ‘76, quando a migliaia in Israele si riunirono per protestare contro l’espropriazione di altra terra palestinese in Galilea.
Viene impedito la raccolta anche della salvia e del cardo selvatico e l’allevamento, per esempio, della pecora nera. (un caso?)
Sono stati confiscati già 550 dunam (la quantità di terra che potrebbe essere arata da una squadra di buoi in un giorno. La definizione legale era "quaranta passi standard di lunghezza e larghezza", ma di fatto la sua area attuale variava considerevolmente da un posto all'altro) e messi a frutto monetario per produzione e ventita di zaatar, ovviamente appropiandosi della “proprietà” e quindi dichiarandola prodotto nazionale, così come i falafel e l’hummus.
Rabe Ighbariah, avvocato palestinese, basandosi sullo studio di una sessantina di casi, trattati dai tribunali israeliani tra il 2004 e il 2016 a proposito della raccolta di cardo e timo (spesso a uso familiare, quindi sotto al kg.) che hanno condannato I LADRI al pagamento di salatissime multe, arriva a questa conclusione:
è giunto alla conclusione che il divieto israeliano di raccogliere le piante prima menzionate “non ha basi scientifiche se mira a proteggere l’ambiente e le piante”, ma è uno strumento legale per incriminare i palestinesi e il loro legame con la terra e la natura”
(Tutti gli imputati sono palestinesi laddove gli israeliani, anche se raccolgono le piante protette come ad esempio gli anemoni, non vengono puniti o incriminati”). La “polizia verde”, che fa parte dell’autorità israeliana per la protezione ambientale e i parchi, applica “il diritto” penale: rilascia nell’immediato una multa e presenta delle accuse a coloro sorpresi a cogliere le suddette piante, emette un’ordinanza amministrativa che vieta l’utilizzo del veicolo associato al reato e infine confisca tutto il materiale legato al reato. Tra il 2010 e il 2016 sono state emesse circa 780 multe per raccolta di timo.
Margarita Valchik, scienziata ambientale al dipartimento Scienze dell’autorità israeliana dell’ambiente e dei parchi, ha dichiarato al giornale israeliano Haaretz:
“È difficile stabilire quanto abbia fatto l’autorità israeliana ambientale per proteggere queste piante” e sottolinea poi come l’Autorità impegnata nella protezione delle piante “non abbia un piano e nemmeno un programma di monitoraggio pratico. Quindi questa “Protezione Ambientale” sembra molto un atto politico repressivo che strumentalizza un’abitudine e un elemento proprio della cultura palestinese per raggiungere tale scopo”
Ovviamente come ogni “situazione etnica” anche lo Zaatar è richiestissimo. Ika Cohen, pasticciera a Tel Aviv, vinse due anni fa il primo premio nel concorso internazionale sulle migliori creazioni al cioccolato, usando la piantina del Levante per insaporire i suoi tartufi e lo chef Yotam Ottolenghi, a Londra, lo propone fresco,essicato, con spezie da spargere sulla focaccia. Tutto molto trendy...
Invece i palestinesi preferiscono non coltivare lo zaatar, il sapore di quello selvatico è molto diverso e non solo in bocca. I palestinesi preferiscono ri-comporsi in gesti vecchi di secoli e anche tramite quelli, riconoscersi, cogliere, chiacchierare, ascoltare e godere dei propri passi, delle proprie litanie. Anche tutto questo ha spinto Vivien Sansour a tornare dall’estero sulle colline vicino a Betlemme e fondare la Palestinian Heirloom Society: preserva i semi e le tecniche agricole tradizionali da cui — dice — «fioriscono i canti delle donne, i nostri modi di dire, chi siamo come popolo».
Continuare a raccoglierlo è il minimo, un atto dovuto che coinvolge tutti. Che trova in un ampliamento sperato di tre effe maiuscole, una pretesa di protesta contro una norma emanata da tutti gli “occupanti” globali come Monsanto/Nestlè/Cocacola/Beyer/ Trump/Bolsoraro (non più cognomi ma Marchi di Infamia) e tutti quelli che citerò, ricetta dopo ricetta.
Alla radice, Za'atar è la parola araba per origano, ma ormai viene utilizzata per indicare una mistura di spezie tradizionalmente composta da timo, sesamo e sale, origano, sommacco, issopo, cumino, semi di finocchio, santoreggia, maggiorana e olio. Come capita per ogi miscuglio di spezie, ogni famiglia ha la sua ricetta. L’uso è molteplice, un aromatizzante per svariate pietanze. La miscela donatami da una mia alunna, resta segreta, come in tutte le tradizioni. Vi propongo un uso stile “fett’unta” perché hanno veramente molto in comune. Questo cibo povero, questa fetta di pane aromatizzata con olio, aglio e sale o con za’atar e pani di altri tipi, ci raccontano la potenza di una sobrietà di una ricchezza infinita. Quel gioco fatto di niente, che dovrebbe permettrci di vagare e comunque di rimanere in contatto con le proprie radici.
Sotto un video straordinario che ci racconta come preparare Il pane Za'atar, noto anche come "fatayer fallahi", che significa torta degli abitanti del villaggio,
E con vero piacere vi aggiungo una notizia importante. L’informazione è questa: la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea che ha stabilito che i prodotti provenienti dagli insediamenti coloniali israeliani nei territori palestinesi occupati dovranno indicare sull’etichetta il luogo preciso di provenienza. In sostanza dovranno riportare che non giungono da Israele...